#pausacaffé - Dietro le quinte dell'innovazione
Ho recentemente letto l’articolo “Why We Can’t Have Nice Software” di Andrew Kelley; si tratta di una visione molto critica del mondo del software e dell’innovazione tecnologica, ma mi sembra, a mio avviso, troppo superficiale, focalizzandosi esclusivamente sulla prospettiva del consumatore o dello sviluppatore. Alcune delle critiche sono sicuramente valide, ma mancano di una comprensione più profonda delle molteplici variabili che influenzano le decisioni aziendali nello sviluppo tecnologico.
Prima di procedere, è essenziale leggere il loro articolo. Indipendentemente dai punti, che per me sono validi, che solleva, offre un buon punto di partenza per una riflessione più ampia, come propone questo articolo.
Vorrei anche sottolineare che il mio articolo non intende essere una critica all’articolo di Kelley, ma mira a portare più variabili per poter affrontare la discussione da un punto di vista più ampio.
Redistribuzione dei Profitti dell’Automazione
Il primo punto nell’articolo di Kelley riguarda la distribuzione della ricchezza generata dal software e il controllo esercitato dalle aziende. Naturalmente, una volta creato, il software può continuare a generare valore con costi marginali minimi, potenzialmente distribuendo una grande quantità di ricchezza, se vogliamo limitarci al pensiero che il software sia limitato solo al suo sviluppo.
Bisogna però considerare che mantenere il software operativo e sicuro non è un processo gratuito e richiede risorse continuative; è necessario correggere le vulnerabilità che emergono, migliorare le prestazioni e gestire l’integrazione delle nuove tecnologie necessarie per ottimizzare il suo funzionamento fornendo strutture più robuste e svolgendo la manutenzione delle infrastrutture coinvolte. Questa manutenzione continua è spesso invisibile all’utente finale, ma è fondamentale per garantire che il software rimanga utile e sicuro nel tempo.
La questione della redistribuzione della ricchezza è un argomento molto serio e delicato che richiede un’analisi più approfondita e viene discusso dai tempi della Rivoluzione Industriale. Pertanto eviterò di approfondire questo argomento poiché sto già scrivendo un testo sull’argomento che mira ad analizzarlo in dettaglio. Dato il volume dello studio, oltre 30 pagine, preferisco lasciarlo fuori dall’argomento attuale.
Il DRM è solo una Privatizzazione dei Contenuti?
Un altro punto è l’uso di tecnologie come il DRM (Digital Rights Management) e le limitazioni imposte agli utenti, qui è importante considerare le ragioni legali e aziendali dietro queste scelte.
Questi sistemi non sono progettati per limitare gli utenti, ma per proteggere la proprietà intellettuale. In un ambiente legale complesso, le aziende devono rispettare le leggi sul diritto d’autore e proteggere i loro contenuti dalla pirateria, assicurando allo stesso tempo che artisti e creatori ricevano una giusta compensazione per il loro lavoro. Questi sistemi di protezione possono sembrare restrittivi, soprattutto per gruppi di persone che nel corso degli anni hanno sostenuto una propaganda basata su termini più, scusate, anarchici che obiettivi. Sebbene non vi sia dubbio che l’utente riconosca una limitazione, è cruciale garantire che i suoi diritti siano rispettati quando agisce come autore del contenuto, che si tratti di attori, cantanti, scrittori o qualsiasi altro creatore di contenuti. Non possiamo vedere questo come una privatizzazione di un sistema, ma come una sua protezione.
Causa del Bitrot o Obsolescenza Programmata
Una delle critiche più dure e superficiali dell’articolo è l’inefficienza del software moderno, citando esempi come gli aggiornamenti di Windows che introducono pubblicità e cambiamenti all’interfaccia utente, sostenendo che Microsoft, come altre aziende, sfrutta questi aggiornamenti grafici per motivare il rilascio di una nuova versione del software.
Anche se è comprensibile pensare che questa sembri l’unica motivazione di questa operazione, è utile ricordare che molte di queste decisioni sono guidate dalla necessità di rispondere alle esigenze di un mercato in evoluzione. I cambiamenti all’interfaccia possono sembrare inutili, ma sono spesso il risultato di studi approfonditi sull’usabilità e le preferenze degli utenti. Allo stesso modo in cui vediamo la programmazione come un mondo ampio e complesso con migliaia di variabili e considerazioni, lo studio dell’esperienza utente è un mondo altrettanto ampio e complesso che tocca studi come la psicologia, studi essenziali per soddisfare le esigenze degli utenti in un mondo di esigenze in evoluzione.
La pratica di introdurre pubblicità è forse il punto meno discutibile dell’articolo; comprare un prodotto per ritrovarsi con pubblicità sparse nel prodotto stesso è frustrante, ma anche qui possiamo porci alcune domande, anche senza necessariamente voler trovare una motivazione soddisfacente dietro questo scenario. Un’azienda non può essere ricondotta a un semplice team di sviluppo e progettazione; ci sono strutture politiche ed economiche complesse, vincoli contrattuali e collaborazioni con partner che potrebbero portare a tali scelte. Certamente, non è sostenibile per l’utente trovarsi in queste situazioni, ma una visione più ampia della situazione può almeno portare ad essere più consapevoli, anche senza necessariamente giustificare tali azioni.
Il concetto di “bitrot” o, se vogliamo, di Obsolescenza Programmata, è discusso come un problema di progresso, con aggiornamenti e nuovi hardware che rendono obsoleto il software esistente. Questo fenomeno non è esclusivamente negativo. L’aggiornamento delle dipendenze e l’adozione di nuove tecnologie sono spesso necessari per migliorare l’efficienza del software; ignorarli esporrebbe gli utenti a rischi di sicurezza e limiterebbe le capacità del software. Molto spesso ci sembra di avere a che fare solo con una versione “ricolorata” dello stesso prodotto, ma, anche se odio ripetermi, se ci fermiamo un attimo e analizziamo più fattori, possiamo vedere come, nella maggior parte dei casi, o ottimisticamente sempre, questi portino a nuove tecnologie, miglioramenti tangibili, consolidamento di funzionalità e infrastrutture, e tutte le operazioni che richiedono ricerca, sviluppo e quindi manodopera che, oggettivamente, ha un costo.
Il vero problema dietro questa obsolescenza è l’impatto ambientale, qui potremmo semplificare e chiudere un capitolo puntando il dito contro queste aziende, vedendole come le antagoniste del danno ambientale. Sono loro i cattivi che inquinano con tutti questi nuovi dispositivi! Tuttavia, se vogliamo introdurre più variabili, capiamo che non è necessariamente così. Molte aziende riconoscono di non poter affrontare un cambiamento di direzione, alcune non si diversificano abbastanza da potersi permettere di non produrre nuovi dispositivi, influirebbe su troppe variabili, come l’occupazione dei loro lavoratori, la risposta di un mercato in evoluzione, gli accordi legali e innumerevoli altre variabili. Non vediamo necessariamente l’azienda e il consumatore come due entità separate, la percezione del problema ambientale è un problema identificato su entrambi i lati, motivo per cui le aziende si stanno spostando verso sistemi di produzione sempre più ecosostenibili.
Questo potrebbe aprire un altro grande capitolo su come i consumatori percepiscono queste soluzioni. Si potrebbe puntare il dito contro le aziende perché mantengono gli stessi prezzi anche quando usano materiali riciclati, ma ancora una volta quando consideriamo più variabili, emerge una realtà molto più complessa. Il processo di produzione ecologicamente sostenibile richiede investimenti sostanziali. Non si tratta solo di cambiare la fonte da cui proviene una risorsa, ma di adattare le linee di produzione per gestirla, a volte dovendo riprogettare parti del prodotto stesso. Poi non dimentichiamo l’aspetto politico, le aziende devono rispettare normative e standard che possono variare da paese a paese, aumentando ulteriormente il costo e la complessità del processo.
Resistenza agli Standard
L’articolo menziona anche l’opposizione delle aziende agli standard tecnologici, sebbene possa sembrare che si oppongano agli standard per mantenere il controllo del mercato, e in una certa misura è probabile che sia così, è importante riconoscere che ci sono rischi e costi significativi nell’adottare nuovi standard, soprattutto da parte di aziende i cui prodotti sono adottati da una grande porzione di utenti. Le aziende devono considerare attentamente quando e come adottare nuovi standard per garantire la compatibilità e la stabilità dei loro prodotti. Ad esempio, passare a un nuovo standard di connettività può richiedere costosi e complessi aggiornamenti hardware, una rivalutazione dei piani a lungo termine e molteplici fattori che variano da realtà a realtà e si posizionano non solo su un piano pratico, ma anche, spesso, politico.
Blockchain e Machine Learning
Kelley giustamente evidenzia l’apparente inefficienza delle tecnologie emergenti come blockchain e modelli di machine learning. Non si può negare che queste tecnologie richiedano risorse significative, ma offrono anche opportunità senza precedenti per l’innovazione. La blockchain, ad esempio, può migliorare la trasparenza e la sicurezza delle transazioni digitali, mentre i modelli di machine learning possono trasformare interi settori, dalla sanità alla finanza, oltre a ridurre il carico di lavoro sui lavoratori. L’inefficienza iniziale è spesso un costo necessario per esplorare e sviluppare nuove capacità tecnologiche.
Prima della Rivoluzione Industriale, il processo di filatura era un’operazione interamente manuale. Solo dopo l’introduzione dei telai meccanici il processo fu ottimizzato, e l’evoluzione continua di queste macchine ha portato a miglioramenti continui sia nella riduzione del lavoro che nell’impatto ambientale. Prendiamo come esempio aziende come OpenAI: il loro recente modello GPT-4-o è un risultato notevole che porta non solo miglioramenti tecnologici ma anche riduzioni nei consumi, evidenziando progressi significativi sia nella tecnologia che nella sostenibilità ambientale.
Criticare l’innovazione tecnologica senza considerare il contesto più ampio e le sfide che le aziende devono affrontare porta a una visione limitata e semplicistica. È essenziale riconoscere che ogni decisione aziendale è influenzata da una complessa rete di fattori, tra cui vincoli legali, esigenze di mercato, costi di sviluppo e obiettivi di sostenibilità.
Invito alla Riflessione
Il consumismo ci spinge indubbiamente a comprare nuovi prodotti piuttosto che a conservarli a lungo termine, e questo ciclo continuo può creare una dipendenza dai produttori. È un aspetto innegabile del consumismo moderno, dove il mercato è strutturato per incoraggiare l’acquisto di versioni sempre nuove. Tuttavia, ci sono molte altre variabili in gioco che devono essere considerate per avere una visione chiara della situazione.
Prendiamo ad esempio l’inefficacia oggi degli insetticidi e dei pesticidi. Non è necessariamente perché le aziende stanno deliberatamente indebolendo questi prodotti, il cambiamento climatico ha portato a cambiamenti significativi nell’ecosistema, influenzando flora e fauna, gli insetti e le piante evolvono e sviluppano resistenze, rendendo i prodotti che una volta funzionavano perfettamente meno efficaci. Noi, come gli insetti, ci stiamo costantemente evolvendo, e tutti questi prodotti tecnologici e innovazioni rispondono al bisogno umano di adattarsi e migliorarsi continuamente.
Quando ci troviamo di fronte a una conclusione eccessivamente semplicistica, dovremmo fermarci e considerare tutte le variabili coinvolte. Quali sono le esigenze e le motivazioni dei diversi attori coinvolti? Un prodotto non è solo il risultato del lavoro di consumatori e sviluppatori, ma di una complessa rete di relazioni e influenze. Perché continuiamo a investire nello studio dello spazio, della biochimica e di tante altre discipline? La scienza esiste ancora perché ci stiamo costantemente evolvendo, sempre alla ricerca di nuovi modi per migliorare le nostre vite. Ogni scoperta, ogni nuovo progresso tecnologico, nasce dal desiderio umano di migliorare e ottimizzare le nostre routine, di essere sempre più efficienti.
Non limitiamoci a vedere le cose solo dalla nostra prospettiva. Quando pensiamo che una situazione sia troppo semplice, probabilmente ci sta sfuggendo qualcosa. Fermiamoci e riflettiamo criticamente sulla nostra posizione. Ci sono ragioni diverse da quelle che vediamo immediatamente?
Certamente, un utente potrebbe dire: “Sono un consumatore e non devo farmi tutte queste domande, la mia unica preoccupazione dovrebbe essere quella di avere la migliore esperienza possibile.” Questo è vero, come consumatore, vuoi un prodotto che funzioni bene e soddisfi le tue esigenze, tuttavia, nel momento in cui un consumatore va oltre l’uso di un prodotto e inizia a farsi domande, diventa un consumatore informato. È fondamentale che questo processo avvenga, ma deve essere fatto analizzando il contesto nella prospettiva più ampia possibile. Evitiamo di cadere in spiegazioni troppo semplicistiche e riconosciamo la complessità delle dinamiche coinvolte. Solo così possiamo veramente comprendere le scelte che influenzano le tecnologie che usiamo ogni giorno.